Pensare di conoscere un luogo e scoprire invece che non è così. È questa la sensazione che prova un residente quando visita per la prima volta il Museo di Villa Arbusto a Lacco Ameno. Sensazione che diventa addirittura meraviglia se a "prendervi per mano" è l’archeologa Mariangela Catuogno, la guida Gran Tour Campania Artecard che in un bello e assolato sabato di inizio settembre ci ha portato alla scoperta di uno dei musei archeologici più importanti della Campania. Tra i pochi, in Italia, a poter vantare un percorso ceramico che va dal neolitico fino all’epoca romana. Va da sé che la meraviglia è sentimento condiviso anche dai tanti turisti che nel Museo di Pithecusae trovano evidenza del fatto che Ischia è molto più di una "semplice" stazione termale.
Del resto, di "cose" la ceramica ne racconta un bel po'. Per esempio, che le prime tracce attestanti la presenza dell’uomo sull’isola d’Ischia risalgono all’età della pietra e proseguono nell’età del bronzo e del ferro, come testimoniano i numerosi reperti rinvenuti nell’importante sito archeologico del Castiglione (Casamicciola). La quantità e qualità dei materiali portati alla luce suggerisce che la presenza dell’uomo in era preistorica non fu sporadica. Al contrario, Ischia era già abitata nel 3500 a.C. (neolitico), e continuò a esserlo in seguito nonostante l’instabilità sismica e vulcanica del territorio.
Favoloso!
Perciò, il primo punto da tenere a mente è che la storia di Ischia non comincia con i Greci. Semmai, con i coloni provenienti dall’isola di Eubea comincia la storia della Magna Grecia. Ischia, infatti, fu la prima colonia greca nel bacino del Mediterraneo occidentale. Il primo avamposto realizzato da Calcidesi ed Eretriesi per commerciare beni di lusso (tali erano considerati la ceramica e i profumi provenienti dall'Oriente) in cambio del ferro estratto nella vicina isola d’Elba. Una fiorente attività di import-export che senza dubbio spiega la nascita dell’insediamento pithecusano. L’altro motivo che spinse i Greci a stabilrsi a Ischia fu la grande disponibilità (su tutta l’isola) di argilla, materia prima indispensabile per un popolo dedito alla lavorazione della ceramica. E, infatti, crateri, anfore e altri utensili domestici, oltre che a essere importati, cominciarono a essere prodotti in loco, in special modo in località Mazzola (l’attuale Mezzavia, frazione di Lacco Ameno) dove le numerose scorie rinvenute testimoniano la presenza di officine per la lavorazione del ferro (ma anche di oro e argento) e appunto della ceramica.
E qui veniamo alla Sala II, la più importante di tutto il Museo di Villa Arbusto, dove è custodita la celebre
Coppa di Nestore. Reperto sulla cui importanza archeologica, storica, filologica si è discusso moltissimo e che però non è di produzione pithecusana. La Coppa di Nestore (vetrina XVIII) è una "
kotyle" rodia (da Rodi), mentre il "Cratere con scena di naufragio" (vetrina XVI) è di produzione locale. Rinvenuto anche questo nella necropoli di San Montano, si tratta del più antico esempio di pittura vascolare figurativa ritrovato in Italia. La scena del naufragio, resa ancor più drammatica dall’immagine di uno dei marinai inghiottito da un enorme pesce - mentre gli altri giacciono senza vita in mare - racconta due cose: per un verso, le paure ancestrali evocate da un elemento ostile come il mare; per l’altro, della dannazione eterna che i Greci pensavano toccasse in sorte a chi moriva senza avere la possibilità di essere seppellito. Molto importante anche il vaso (vetrina XVI) su cui è dipinto un motivo caro al ceramografo dell’isola di Eubea noto come "Pittore di Cesnola". Si tratta di un "
lekythos" (trad. vaso allungato) su cui è raffigurato un albero sacro fiancheggiato da una coppia di capri rampanti. Per vedere identico motivo bisogna andare fino al Metropolitan Museum di New York, dove sono custodite le ceramiche del pittore di Cesnola. La corrispondenza dei motivi decorativi è un’ulteriore testimonianza della centralità artistica e culturale di Pithecusa, che non venne meno nonostante il declino commerciale dell’insediamento già a partire dal VI secolo a.C..
Infatti, nel VI, V e IV secolo a.C. la tradizione ceramistica pithecusana continua, lasciando tracce di sè anche nella successiva epoca romana. Il Museo archeologico di Pithecusae dà evidenza di quest’ideale "
passaggio di testimone", come pure della presenza romana sull’isola d’Ischia. Nell’ultima sala (sala VIII) sono infatti esposte le riproduzioni dei bassorilievi rinvenuti nel 1757 in un terreno a fianco la sorgente di Nitrodi (gli originali si trovano nel Museo archeologico di Napoli). Si tratta di "
ex voto" raffiguranti le ninfee e Apollo a testimonianza dell’ubicazione di un tempio nei pressi della fonte termale. Altri reperti riferiti alla città di Aenaria sono stati trovati - come sappiamo - nella baia di
Cartaromana, anche se resta in sospeso l’ipotesi circa l’esistenza di una fonderia nello specchio di mare tra il Castello Aragonese e gli scogli di Sant’Anna. Gli scavi archeologici sottomarini non hanno ancora fugato i dubbi al riguardo, anche se il rinvenimento di numerose scorie attestanti la lavorazione del metallo lasciano aperta questa probabilità di cui già parlava
Giorgio Buchner.
All’interno del Museo di Villa Arbusto c’è anche una sala dedicata al Cav.Angelo Rizzoli, l’artefice più importante della rinascita turistica dell’isola d’Ischia. Un omaggio dovuto al vecchio proprietario della villa e a un uomo che ha fatto tanto - finanche l’ospedale tuttora intitolato alla moglie Anna - per l’isola d’Ischia.
Twitter: @prontoischia